La psicoterapia in età evolutiva: quando i bambini vanno dallo psicologo
La psicoterapia in età evolutiva: quando i bambini vanno dallo psicologo
La psicoterapia in età evolutiva: quando i bambini vanno dallo psicologo
In questo articolo proveremo a capire cosa significa “psicoterapia dell’età evolutiva” e cosa succede nella stanza della terapia quando lo psicologo incontra un bambino.
Cosa fa lo psicoterapeuta dell’età evolutiva?
L’età evolutiva, innanzitutto, è quel periodo che va dalla nascita fino al termine dell’adolescenza, con tutti i cambiamenti rivoluzionari che caratterizzano questi anni di vita di ciascun essere umano.
Le situazioni che possono portare un bambino o un adolescente allo studio dello psicologo sono molteplici ma sono accomunate dal fatto che è quasi sempre un adulto che porta la richiesta. Molto spesso sono i genitori stessi che chiedono un appuntamento, ma il campanello di allarme potrebbe partire anche da un insegnante che coglie alcune difficoltà a cui la scuola non può dare risposta, dal pediatra o da un medico che sente che un sintomo fisico potrebbe essere ricondotto ad una sofferenza emotiva, dall’allenatore sportivo che nota una crisi o un cambiamento nei comportamenti del giovane atleta.
Molte volte, decidere di consultare uno psicologo è una piccola “ferita” per i genitori: significa affrontare l’immagine di un figlio che in qualcosa “non funziona” o non è perfetto come si sognava e significa anche scontrarsi con un’idea di sé come genitori che non sono all’altezza, che avrebbero dovuto prendere decisioni diverse o che non hanno fatto abbastanza per il loro bambino.
La sola richiesta di aiuto però è già di per sé un movimento evolutivo, un iniziare un percorso che mette in gioco tutti, perché nella psicoterapia dell’età evolutiva, sebbene il primo paziente sia chi presenta i sintomi, tutti sono coinvolti e il cambiamento deve impegnare anche mamma e papà, i fratelli e le persone che gravitano intorno al bambino.
Lo psicoterapeuta che lavora con i bambini si occupa di situazioni che riguardano difficoltà in vari ambiti della vita quotidiana, come l’alimentazione, il sonno, l’ingresso in un ambiente sociale come l’asilo nido, oppure difficoltà relazionali con i genitori o con il gruppo di pari. Può sostenere la famiglia in momenti di passaggio come un lutto, una separazione o un grande cambiamento come l’arrivo di un secondo figlio. Lo psicoterapeuta lavora con adolescenti che hanno, ad esempio, sintomi legati all’ansia o alla depressione, che si ritirano dalla vita sociale e scolastica, che mettono in atto comportamenti pericolosi. È quindi il professionista che si occupa del disagio emotivo, relazionale e comportamentale dei bambini e degli adolescenti.
Come dire al bambino che incontrerà uno psicologo?
Per tanti genitori è difficile capire se e come comunicare al proprio figlio che incontrerà uno psicologo. A volte gli adulti vorrebbero accompagnarlo senza dire nulla oppure dare al bambino spiegazioni alternative, raccontare che lo accompagneranno a giocare con un’amica, o che si andrà in una specie di sala giochi e via dicendo, con l’intenzione di non spaventarlo o non preoccuparlo. Se è giustissimo non alimentare ansie rispetto ad una situazione sconosciuta, è altrettanto vero che i bambini possono essere invece molto rassicurati dal sapere che i genitori stanno riconoscendo il loro malessere e si stanno attivando per trovare delle soluzioni, e si possono trovare le giuste parole per spiegare loro cosa succederà. A partire dai 3-4 anni di età del bambino, ad esempio, si potrebbe raccontare che mamma e papà sono preoccupati per quello che sta succedendo e hanno deciso di incontrare una persona che si occupa dei problemi dei bambini: è una specie di dottore, ma non ci sarà una visita, si faranno dei giochi e dei disegni. L’incontro durerà 45 minuti e se lui fosse preoccupato, mamma e papà possono rimanere con lui dentro la stanza.
Come inizia il percorso di terapia di un bambino?
Nella consultazione per un bambino, di solito il primo incontro è solamente con i genitori. Loro sono i “porta-voce” della situazione problematica, raccontano il motivo per cui sono arrivati dallo psicologo e delineano la storia del figlio, dalla gravidanza passando per le tappe principali di crescita. I genitori spesso hanno già un loro punto di vista sul “problema”, su cosa possa averlo scatenato e quali siano stati i passaggi di vita difficili per il loro figlio. In questa fase iniziale, il ruolo dello psicoterapeuta è quello di attivare un “pensare insieme” per tentare di esplorare possibilità nuove e dare un senso ai sintomi portati.
Se il terapeuta lo ritiene opportuno, può decidere poi di incontrare il bambino, di solito per almeno tre incontri di consultazione. Durante questi incontri il bambino, se se la sente, può entrare in stanza da solo ma se è molto piccolo o se non accetta il distacco, il genitore può accompagnarlo e rimanere con lui per tutto il tempo necessario finché non si senta abbastanza sicuro. Nella stanza, si mette a disposizione del materiale di gioco o disegno, pensato a seconda dell’età: fogli e colori, un bambolotto e quanto serve per vestirlo e preparargli da mangiare, una casetta con i suoi personaggi che la abitano, animali feroci e non, costruzioni,… Lo psicologo potrebbe essere coinvolto nel gioco e nelle attività del bambino, se questo lo richiede, oppure potrebbe rimanere semplicemente ad osservare quello che accade, intervenendo solo se necessario. È il bambino protagonista di questo spazio, lui decide cosa fare e quale materiale lo interessa in quel momento, le regole che vengono condivise sono poche e semplici. Al di là dell’attività in sé, quello che conta e che viene osservato dallo psicologo è il clima emotivo che si crea nella stanza, quali sono i pensieri e le emozioni che emergono attraverso il gioco, le parole ma anche gli eventuali silenzi. Il gioco e il disegno sono quindi degli strumenti che servono a “dare voce” al mondo interno del bambino, che spesso non è in grado di raccontare o tradurre a parole quello che vive e che sente.
Dopo aver conosciuto e osservato il bambino per qualche seduta, lo psicologo incontrerà nuovamente i genitori, per fare il punto con loro di quanto compreso della situazione e dare le indicazioni del caso. Può essere che con solo questi pochi incontri, se hanno permesso l’emergere e l’elaborazione di certe emozioni e pensieri, la situazione si sia “sbloccata” e possa ripartire il normale percorso evolutivo, senza ulteriore aiuto esterno. Può essere invece che si siano osservati sintomi che hanno bisogno di essere affrontati in un percorso terapeutico più lungo, sintomi che potrebbero corrispondere ad una determinata “diagnosi”, utile a dare un senso alla situazione e a capire quale strada intraprendere, come ricominciare a muoversi lungo una traiettoria di crescita serena. Compito del terapeuta è quindi offrire ai genitori tutti gli elementi per decidere responsabilmente quale sia l’aiuto più opportuno per il proprio figlio.
Il team di Quipsico offre supporto psicologico e percorsi di psicoterapia per sostenere i bambini, gli adolescenti e le loro famiglie che affrontano sofferenze e sintomi che bloccano il normale percorso evolutivo.
Se sei un genitore preoccupato per il tuo bambino e vuoi capire come muoverti per aiutarlo, contattaci.
Articolo di Simonetta Milan
Psicologa e Psicoterapeuta dell’Età Evolutiva del team di QuiPsico.
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